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INVITIAMO TUTTI COLORO CHE HANNO RICEVUTO O RICEVERANNO UNA CARTELLA DI PAGAMENTO O UNA INGIUNZIONE FISCALE NELLE QUALI E’ RIPORTATA LA VOCE DI SPESA “MAGG. ART. 27 L. 689/81” (O SIMILARI) A NON CEDERE ALL’USURA ED A DIFENDERSI IMPUGNANDO DINNANZI AL GIUDICE DI PACE, CON O SENZA IL NOSTRO AUSILIO, LA CARTELLA/INGIUNZIONE FISCALE.
Dopo un attento studio effettuato dal nostro Costituzionalista Avv. Massimiliano Baroni, possiamo affermare con certezza che le maggiorazioni di ritardato pagamento applicate in cartella di pagamento equivalgono ad interessi usurari. Comunichiamo quindi che in data 02/02/2024 abbiamo depositato davanti al Tribunale di Roma eccezione di incostituzionalità della famigerata norma che le prevede (art. 27 comma 6 della Legge n. 689/81).
Di seguito spieghiamo il perché:
L’art. 27 della Legge 689/81 disciplina precipuamente lo scenario che si apre allorquando sia cristallizzata la violazione del codice della strada e si apre quindi la fase della riscossione. Orbene, detta norma prevede che il mancato pagamento da parte del trasgressore della sanzione in misura ridotta abbia come conseguenza l'accessorio del 10% semestrale sull’importo dovuto.
È evidente che detta previsione cozza con i più elementari principi di ragionevolezza e trasparenza dell’agire amministrativo.
Il ragionamento non può prescindere dall’inquadramento della previsione di cui all’art. 27 della Legge 689/81 nel corretto quadro del principio che ha ispirato il legislatore allorchè ha licenziato la norma, quadro che purtroppo è clamorosamente sfuggito alla Corte Costituzionale sia quando nel 1999 aveva affermato la natura “di sanzione accessoria” di tale disposizione del 10% semestrale, piuttosto che di tassi di mora, sia nella pronuncia n. 25/2017. E veniamo così ai lavori preparatori della Legge n. 689/81.
Si è detto che la Corte Costituzionale aveva sbrigativamente inteso superare le obiezioni di irragionevolezza e di mancato rispetto del principio di uguaglianza soffermandosi sul principio in base al quale trattavasi non di interessi bensì di sanzione accessoria, ma nel giungere a tale conclusione aveva totalmente trascurato di soffermarsi sui lavori preparatori della Legge 689/81, nei quali viene espressamente fatto riferimento alla natura di tassi di mora delle maggiorazioni. Basti infatti rilevare che da detti lavori preparatori ed in particolare dal verbale della seduta della IV Commissione Giustizia tenutasi in data 12.11.1980 ed avente ad oggetto le proposte di emendamenti all’art. 19 della licenzianda Legge 689/81 (poi divenuto art. 27 nel testo definitivo della legge), emerge che l’Onorevole Ricci propose la riduzione nella misura del 10% semestrale (20% annuo) dell’originario tasso previsto nel testo poi non licenziato, fissato addirittura al 25% (50% annuo), motivando l’emendamento con la affermazione, poi condivisa dalla Commissione che infatti lo approvò, secondo la quale una tale maggiorazione rappresentasse un tasso usurario perché troppo distante dai tassi medi interbancari, non potendo la PA avanzare pretese “usurarie” (testualmente: “non possiamo, infatti, trasformare la P.A. in un ente che, sia pure al fine di soddisfare esigenze di rivalutazione, pratica un interesse usurario… …pertanto, il mio emendamento mira a mantenere la maggiorazione entro un congruo livello pari all’inflazione fissandola in un decimo per semestre”). Su tale proposta l’Onorevole Boato obiettò che “se il parametro di riferimento per la fissazione della maggiorazione è il tasso di inflazione, non capisco perché l’Onorevole Ricci voglia diminuire la misura: caso mai andrebbe aumentata”, osservazione alla quale il Ricci replicò esplicando che: “la mia proposta raffigura già un notevole aumento rispetto agli interessi correnti legali”. Ebbene, dalla discussione parlamentare sopra citata emerge senza ombra di dubbio che la misura delle maggiorazioni fu determinata avendo come unico riferimento quello dei tassi di interesse legali, bancari ed inflattivi, tanto da indurre un Deputato della Repubblica a menzionare la fattispecie del reato di usura, che riguarda esclusivamente i tassi di interesse e non certo le sanzioni.
Si giunse così alla previsione di un tasso annuo del 20% (testo licenziato), che, effettivamente, nel 1981 non era molto lontano dai tassi medi interbancari praticati all’epoca per il fenomeno del rialzo dell’inflazione, tassi che però sono senz’altro usurari al giorno d’oggi, dove i tassi bancari sono mediamente dal 2,5 al 6% su base annua.
Concludendo, il tasso di mora del 20% annuo previsto dall’art. 27 della Legge 689/81 non può non cadere sotto un giudizio di incostituzionalità se soltanto la questione di illegittimità costituzionale venisse affrontata dalla Corte nella prospettiva che indusse il Legislatore a parametrare l’ammontare delle maggiorazioni ex art. 27 della Legge 698/81 ai tassi di interesse legali e medi interbancari praticati nell’anno 1981.
Trattandosi quindi di interessi, atteso che il tasso applicato, pari al 20% annuo, è da considerarsi usurario giacchè ampiamente eccedente il tasso soglia che attualmente per i crediti alle famiglie è stabilito nel 18,6375% (rilevazione dei TEGM ai fini della Legge sull’usura n. 108/96, art. 2, per il trimestre ottobre-novembre-dicembre 2023), la richiesta di pagamento di dette somme è da considerarsi a tutti gli effetti quale richiesta di interessi usurari e come tale nulla.
Si osservi da ultimo che è quantomai deprecabile e certamente contraria ai principi dettati dall’art. 97 della Costituzione della Repubblica Italiana (economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza) la condotta tenuta dalla quasi totalità degli Enti creditori di sanzioni amministrative che, pur avendo la possibilità, grazie alla informatizzazione delle procedure per la riscossione, di procedere alla formazione ed alla consegna del ruolo in tempi brevissimi, provvedono invece alla iscrizione al ruolo del proprio credito soltanto all’approssimarsi della prescrizione (cinque anni) nell’evidente intento di accrescere le entrate, instaurando in tal modo un meccanismo perverso e paradossale in base al quale non solo si pongono a carico del cittadino le inefficienze della Pubblica Amministrazione ma addirittura si premiano le Amministrazioni inefficienti a scapito di quelle più solerti: in sostanza le P.A. lucrano sulla propria inerzia, ciò con ulteriori evidenti profili di incostituzionalità: si rileva a riguardo che con il tasso di interesse legale attualmente fissato allo 1,25% la applicazione delle maggiorazioni di ritardato pagamento (pari al 20% annuo) consente alle Amministrazioni più inerti (e quindi inefficienti) di lucrare una percentuale pari a 16 volte il tasso di interesse legale!
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AGGIORNAMENTO DEL 10/02/2023
Finalmente la Corte Prostituzionale ha pubblicato le motivazioni delle tre raccapriccianti sentenze emanate il 1° Dicembre scorso. Ovviamente nulla di nuovo sotto al sole: sul tema la Corte Prostituzionale non ha avuto nulla da invidiare a Ponzio Pilato. L'unica cosa utile che ha certificato la Corte è stata la LEGITTIMITÀ della scelta di non vaccinarsi (con buona pace di tutti coloro, Draghi in testa, che hanno sparato a zero, criminalizzato, insultato, ghettizzato ed umiliato tutte le persone che hanno esercitato una scelta definita dalla stessa Corte come LEGITTIMA). Ma purtroppo è soltanto una parola, che non potrà essere fonte di ristoro per nessuno. Nei contenuti, infatti, le tre sentenze pilatesche non hanno fatto altro che confermare che è stato tutto deciso e fatto dentro i limiti della Costituzione. A nostro modesto parere, comunque, il punto focale della questione è che l'obbligo vaccinale è stato introdotto partendo dell'erroneo presupposto (erroneità ormai ampiamente acclarata) secondo il quale il vaccino escludeva il contagio. Sulla base di questa fandonia è stato dato il patentino di non contagioso a milioni di persone che si sono ritenute libere di andare in giro a contagiare chiunque, cosa che invece con il tampone non sarebbe potuta accadere. Ad maiora.
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AGGIORNAMENTO DEL 16/12/2022
Il 1 Dicembre 2022 la corte costituzionale si è pronunciata sull'obbligo vaccinale. Non ci siamo mai fatti una minima illusione su come si sarebbe espressa, anzi, avevamo la certezza che avrebbe avallato tutte ma proprio tutte le nefandezze perpetrate dal Governo Draghi ai danni della Costituzione della Repubblica Italiana.
Ciò non toglie che la ributtante sentenza emessa dai quindici scudieri di Draghi e Speranza ci faccia inorridire, né più né meno di quanto le leggi razziali del 1938 fecero inorridire i nostri avi antifascisti.
Proviamo vergogna per quei Giudici, che hanno trasformato le proprie funzioni da baluardi a difesa della Costituzione a servi del potere.
Ribrezzo, nausea, dolore e pena sono i sentimenti che oggi nutriamo nei confronti della corte costituzionale, le cui iniziali d'ora in poi andranno scritte sempre in minuscolo perché minuscola è la statura dei suoi componenti.
Attendiamo quindi la pubblicazione delle motivazioni che hanno indotto i servi sciocchi della consulta a gettare la maschera, potremo così aggiungere il vomito alla nausea.
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